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L’impero delle luci di Renè Magritte-PODCARD
Un paesaggio avvolto nel mistero, dove convivono il giorno e la notte.
Al centro un piccolo lampione che illumina con la sua luce fioca una casa, affianco un enorme albero che si staglia cupo su di un cielo azzurro.
Un ossimoro in arte, che ci lascia stupiti e incantati al tempo stesso e che è metafora della vita.
Lo stesso Renè Magritte nel 1966 :
«Dopo aver dipinto L’empire des lumières, ho avuto l’idea della notte e del giorno che esistono insieme, come fossero una sola cosa. E’ ragionevole: nel mondo il giorno e la notte esistono nello stesso tempo. Proprio come la tristezza esiste sempre in alcune persone e allo stesso tempo la felicità esiste in altre»
Magritte senza abbandonare le tecniche convenzionali della pittura mette in dubbio la percezione dell’osservazione. Questo è surrealismo!
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Nudo di spalle di Umberto Boccioni-PODCARD
Una donna anziana a mezzo busto seduta su una sedia.
Di lei vediamo la schiena nuda, rivolta all’osservatore, mentre il capo è di profilo. Il braccio sinistro, ricade lungo il corpo, mentre quello destro, lo si intravede appoggiato allo schienale della sedia.
La luce filamentosa irrompe nella stanza, accarezzando dolcemente la donna, esaltandone i lineamenti a tratti duri e spigolosi del volto e la morbidezza del corpo.
Sottile linee di colore danno vita al dipinto, creando un’atmosfera vibrante ed enfatizzando la plasticità anatomica del corpo, del corpo di una donna, del corpo di una madre.
Boccioni la dolcezza e il colore, la premura di un figlio che da dietro protegge e cura.
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Alchimia di Jackson Pollock-PODCARD
“Quando sono nel mio quadro, non sono cosciente di quel che faccio. Solo dopo una specie di “presa di coscienza” vedo ciò che ho fatto. Non ho paura di fare dei cambiamenti, di distruggere l’immagine, ecc. Perché un quadro ha una vita propria. Tanto da lasciarla emergere. Solo quando perdo il contatto col quadro il risultato è caotico. Altrimenti c’è armonia totale, un rapporto naturale di dare e avere, e il quadro riesce”.
Jackson PollockLo sguardo percorre tutta l’opera riempita dal colore che è colato sulla tela in modo del tutto casuale. Le linee si assottigliano e si ispessiscono, acquistano velocità e scorrono lentamente, a seconda della densità della pittura.
La linea non serve più per descrivere figure o contenere forme, ma esiste in qualità di evento autonomo riportando sulla tela i movimenti del corpo dell’artista e le sue scelte istantanee.
Un caos si, ma che esprime armonia, l’assoluto nel gesto del dripping.
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Le due Frida di Frida Kahlo – PODCARD
Le due Frida, due donne a confronto, allo specchio, per far emergere l’ambivalenza dell’animo di una donna profondamente fedele ai suoi sentimenti e a se stessa.
Due Frida: quella di destra vestita in abiti colorati e popolari che richiama la tradizione messicana, è la donna amata da Diego Rivera; quella di sinistra in abito bianco che rappresenta l’emancipazione europea è la donna abbandonata da Diego.
Le due figure che sembrano così distanti in realtà sono vicine e unite dall’arteria che irrora i due cuori.
È un dialogo solenne tra la sofferenza dell’abbandono e la consapevolezza che ogni rottura è anche segno di cambiamento, di rinascita.
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Il caso Moro attraverso l’opera di Francesco Arena
L’affaire Covid come l’affaire Moro si svolge irrealmente in una realissima temperie storica e ambientale. E soprattutto oggi, forse più di allora, sarebbe valida e percepiamo come vera l’idea verbale che Aldo Moro restituì dell’Italia: «un Paese dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili».
Alcuni giorni fa ho assistito a un interessante dibattito televisivo nel quale si partiva da un dato: 55 giorni.
Il caso Moro e i giorni della quarantena
I 55 giorni della storia italiana furono i giorni del sequestro Moro. Poco meno di due mesi in cui l’Italia, il paese Italia, il governo, gli italiani, rimasero sospesi, in bilico tra forze contrastanti, non sempre chiare e manifeste e, soprattutto, con principi e metodi tra loro inconciliabili.
Al centro di quel caso, un uomo, prima che un presidente.
Ebbene quei 55 giorni sono stati accostati ai giorni da poco trascorsi in casa da tutti noi. Altri tempi, altre motivazioni, altre soprattutto le reazioni suscitate. Rimane interessante questo confronto proposto con le immagini, spesso oppositive di momenti e protagonisti. E tuttavia è mancata a mio parere una riflessione essenziale, che davvero può marcare il segno di distinzione e al tempo stesso accomunare questi diversi 55 giorni.
Certo, in entrambi i casi lo sbigottimento, l’incredulità, la paura, di una intera nazione; la coscienza di essere stati colpiti da un nemico poco-visibile, il dubbio e il timore dell’altro. Tutte queste cose accomunano in superficie questi due momenti che in profondità sono però radicalmente differenti.
L’opera: 3,24 mq
Un secondo numero: 3,24 mq è il titolo dell’opera dell’artista contemporaneo Francesco Arena (nato nel giugno del 78), realizzata per una mostra della Galleria Monitor ed esposta, per 55 giorni nel 2018, presso il MAXXI.
L’opera è un luogo, un luogo ricostruito sulle presunte sembianze di un luogo non trovato mai completamente. L’artista racconta di aver visto l’appartamento in cui le BR tenevano Moro e di aver osservato le tracce dei fondelli di questa cella sul pavimento, cancellate poi definitivamente nel 2005.
Nella Roma, città di santi, di reliquie di pellegrinaggi, Arena si è messo in cammino. La storia d’altronde è mettersi in cammino, mettersi alla ricerca, prendere le misure per conoscere le cose: 3,24 mq costituisce la misura del vuoto di quel luogo.
L’opera come scultura
L’opera è una scultura apprezzabile nella sua semplicità esterna di un’anonima cassa per imballaggi e che, già nel termine cassa, evoca il destino funereo di quello spazio tutt’altro che vitale.
L’opera come stanza
L’opera è una stanza, uno spazio concreto senza aggiunte, la ricostruzione della cella in cui Moro trascorse prigioniero i 55 giorni. Penetrabile parzialmente e indagabile visivamente attraverso uno spioncino. Due i punti di vista dunque, uno esterno dell’uomo o della donna che si accostano ad un qualcosa che dicesi arte, come gli uomini e le donne che passarono vicino a quelle mura senza capire cosa ci fosse oltre. E uno meno esterno, dello spettatore che, avvicinandosi ed entrando nel primo piccolo spazio, spia all’interno, scrutando una situazione, percependo una presenza, una storia. Senza tuttavia poterla mai vivere e comprendere a pieno, poiché siamo coloro che, come scriveva Sciascia, la vivono con il senno di poi.
L’opera come luogo di trasformazione
L’opera, suggerisce l’artista, è il luogo della trasformazione di un uomo, di un paese. Quello che rimase in quel non luogo e che rimane in 3,24 è la trasformazione di un uomo libero in un prigioniero. E su questo si gioca il vero raffronto con il contemporaneo. Sui diversi piani dell’unico valore della libertà. Nemmeno immaginabile allora appare il raffronto tra la Libertà (con lettera maiuscola) di cui Moro fu privato, e le libertà di cui ci stiamo volontariamente privando. Forte il significato di interconessione delle diverse e personali libertà che ne scaturisce.
Il Covid e l’affaire Moro: libertà
L’affaire Covid come l’affaire Moro si svolge irrealmente in una realissima temperie storica e ambientale. E soprattutto oggi, forse più di allora, sarebbe valida e percepiamo come vera l’idea verbale che Aldo Moro restituì dell’Italia: «un Paese dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili».
L’opera sono infine delle parole. Poiché ricostruisce lo spazio delle lettere scritte da Moro. Lì, più che mai, si percepisce la vera privazione della libertà.
«Ecco, nell’Italia democratica del 1978, nell’Italia del Beccaria, come in secoli passati, io sono condannato a morte…»
(Lettera a Zaccagnini 22 aprile 1978)
«Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà».
(Discorso del 28 febbraio)