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Beata solitudo, sola beatitudo
Era giugno inoltrato. Erano seduti attorno a un tavolinetto rotondo, tutti ancora nei loro abiti di scena. Alteri e orgogliosi, sembrava stessero recitando, anche lì, in quel frangente. Chissà se quella sera, prima di prendere posto nel locale, erano stati padri, fratelli, medici, assassini, amanti o amati.
Li osservavo impalata nel mio bell’abito verde e, per un attimo, mi feci cullare dal pensiero che anche io avrei potuto essere una di loro. Con una trama definita e mai più sola.
Sempre affascinata dal mondo degli attori, mi incuriosiva l’idea che vivessero per quell’attimo di riconoscenza in cui, a fine spettacolo, il loro volto si rispecchiava negli occhi luminosi di un pubblico grato.
Mi guardai intorno e mi resi conto che in fondo era tutto un grande teatro. Anche io avrei dovuto recitare per avere la possibilità di stare al mondo?
Perfino il locale sembrava una quinta teatrale. Sulle pareti erano dipinte ingenuamente una balaustra di pietra bianca, il mare blu, il cielo turchese e tante colorate lanterne di carta.
Con una trama definita e mai più sola, continuavo a ripetermi in testa.
Sarei stata spettatrice di un mondo nel quale non mi riconoscevo? O mi sarei finalmente confusa tra la gente, accettando il compromesso, ma godendo dei privilegi dell’appartenenza?
Con una trama definita e mai più sola.
Decisi così di abbandonare il locale e salire sulla corriera, tutta vecchia, con le panche in legno e semivuota, che mi avrebbe portata a casa. Fuori dai finestrini piccoli, la luce infinita della sera. Il mio sguardo, smarrito ed estasiato, venne catturato da un piccolo teatro poco illuminato. Impulsivamente chiesi all’autista di fermarsi.
Mi ritrovai davanti alla porta d’ingresso del teatro, nella penombra. Se fossi entrata sarei diventata un’attrice. Finalmente sarei stata parte di qualcosa, con una trama definita e mai più sola.
Bussai. Ad un tratto alzai lo sguardo e vidi il mio riflesso sulla porta a vetri dell’ingresso. Sentii una voce che urlava ̶ arrivo! ̶ . Mi guardai attraverso quel riflesso e di scatto mi voltai per andare via, mentre la porta alle mie spalle si apriva.
Era chiaro che, nonostante i mille tentativi di riconoscermi in qualcosa, in fondo, sarei sempre stata io. Ella. Con una trama indefinita e per sempre sola.
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Gustav Klimt e Il limbo degli amanti sleali
Il limbo degli amanti sleali
Come si fa ad amare così profondamente qualcuno e rassegnarsi all’idea di non riuscire a catturarlo?
Tra tutto quel groviglio di corpi, Tindaro aveva scelto Leda, l’unica diversa, e incessantemente tentava di avvicinarla a sé.
Vagavano tutti in perenne attesa, ingoiati nel limbo degli amanti sleali.
Loro non avevano rinunciato ad amare, conoscevano il lato triviale dell’amore, ma anche le angoscianti tragedie di chi, nell’incessante ricerca della passione, fatalmente genera atroci conflitti.
Leda però era distaccata da quel groviglio, per non aver ceduto al pentimento, per aver preferito il ricordo al rimpianto.
Ebe intanto tentava di proteggere il frutto dorato e nettarino del suo tradimento, Eugenio, che soffocato da quei corpi accalcati e contorti, piangeva disperatamente, avvinghiandosi come poteva alla madre, che non riusciva a consolarlo.
Dios invece trascorreva le giornate piegato su se stesso, singhiozzava e diventava scheletrico.
Alexis e Attilos si avvinghiavano l’uno all’altro per dividere e alleviare quella pena infinita.
Hektor, divorato dal rimorso, era già divenuto scheletro.
Anastasio, ormai vecchio, con le mani alle orecchie, silenziava i sensi di colpa.
Christina, sorvegliava e volgeva le spalle infastidita da quell’ammasso informe e dolorante.
Leda invece era diversa, era sciolta, libera, fuori da quei destini, perché non aveva mai rinnegato l’amore che aveva dato a chi non sapeva cosa farne.
Per questo Tindaro se ne innamorò perdutamente, e proprio per questo non l’avrebbe mai raggiunta.
Ecco i demoni che si agitano dentro i corpi di quelli che hanno ucciso la fiducia riposta in loro, costipati nell’ipocrisia del pentimento e nell’aspirazione al misero rimedio.
Leda non avrebbe mai rinnegato il suo libero arbitrio; se fosse tornata indietro non avrebbe percorso le stesse strade, come sempre avrebbe cambiato direzione. Ma sentiva irrinunciabile l’idea che ogni sua scelta era stata giusta eppure irripetibile, orribile eppure sua per sempre.