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La deposizione di Cristo nota anche come la Pala Baglioni fu realizzata da Raffaello Sanzio nel 1507.
L’opera fu commissionata da Atalanta Baglioni in onore del figlio Grifonetto, morto qualche anno prima.
La pala doveva essere posta all’interno della cappella di famiglia, sull’altare del Salvatore, nella chiesa di San Francesco al Prato a Perugia.
Secondo il Vasari Raffaello ideò l’opera quando ormai si trovava a Firenze. Dai numerosi bozzetti preparatori sappiamo che fu un processo molto lungo.
Descrizione dell’opera
A dominare la scena, il corpo morente di Cristo, trasportato de tre uomini, il più giovane, al centro della tela, è Grifonetto Baglioni.
Partendo da sinistra, partecipano alla scena: San Giovanni Evangelista ( la figura con le mani giunte), Nicodemo e Maria Maddalena dipinta con la fisionomia di Zenobia Sforza, moglie di Grifonetto.
Dal lato opposto vediamo Maria svenuta, la quale è sorretta dalle pie donne, nel volto della Vergine Raffaello ritrae Atalanta Baglioni.
Il confronto con Michelangelo
In questo dipinto Raffaello crea dialogo diretto con il linguaggio espressivo del grande maestro Michelangelo Buonarroti. In particolare nel corpo abbandonato di Gesù il quale richiama direttamente quello della pietà Vaticana; mentre nella posa della donna inginocchiata verso Maria, in una posizione di torsione si riconosce una puntuale citazione del Tondo Doni.
Composizione originale
Complessivamente l’opera si componeva di più elementi.
Al centro vi era la pala con la La deposizione di Cristo, la quale era sormontato da una cimasa con la raffigurazione del Padre Eterno con gli angeli e con un fregio a grottesche. Nella parte inferiore vi era una predella con la rappresentazione delle Virtù teologali: la Fede, Speranza e Carità affiancate da Putti.
La pala Baglioni di Raffaello Sanzio: un insolito destino
Purtroppo l’intera pala rimase solo un secolo sull’altare della cappella, una notte di marzo del 1608, l’opera con la Deposizione venne sottratta per volontà del cardinale Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V, e portata a Roma nella Galleria di famiglia, dove ancora oggi possiamo ammirarla.
La realtà che Raffaello riportò sulle pareti della stanza della Segnatura con la sua filosofica pace, finì per assumere un’aura quasi utopistica. Mentre ben altre storie si prospettavano per il nuovo importante lavoro affidatogli da Giulio II. Già infatti dal luglio del 1511, il pontefice commissionò al Divin pittore la decorazione della stanza adiacente, oggi conosciuta come stanza di Eliodoro. Entriamo allora insieme in questo nuovo ‘microcosmo’, lasciandoci alle spalle l’allegoria ed entrando nella storia.
In questa stanza torna potentemente sulla scena la pittura storica e lo fa portando con sé le innovazioni e le idee del proprio tempo. Quelli che vediamo raffigurati sono quattro eventi tratti dalla storia della Chiesa. Gli accadimenti sono tutti accomunati dall’intervento risolutivo di Dio che corre in soccorso dell’ecclesia, del popolo dei fedeli. C’è però un’ulteriore costante: la presenza papale. Questa, fa sì che piani temporalmente distinti vengano raffigurati sulla medesima superficie, in una sorta di interferenza del presente con il passato. Si infrange, in altre parole, quel sottile velo che esiste tra storia e illusione, tra realtà e fantasia.
La cacciata di Eliodoro dal tempio nella Stanza di Eliodoro
Siamo nel racconto tratto dal libro dei Maccabei, nel quale il ministro Eliodoro mandato dal suo re tenta di impossessarsi del tesoro depositato dagli orfani e dalle vedove nel tempio di Gerusalemme. Le azioni di Eliodoro sono attorniate, nella sacra scrittura, da un moto continuo e multiforme di disperazione, angoscia e preghiera che pervade tutta la popolazione e i sacerdoti stessi. Raffaello riportò tutto questo sulla parete, facendo trasparire i diversi moti dell’animo, e contrapponendo al popolo disperato di vedove e orfani, la preghiera calma e ricolma d’angoscia del sommo sacerdote. Un’opposizione che risulta essere didascalica, come se l’artista volesse guidare l’occhio alla soluzione cristiana della preghiera, che tutto può.
Lo scorcio magnificamente impostato sulla donna inginocchiata, che non è più figura di donna, ma è movimento, è scena, è emozione, finisce per guidare l’occhio al centro della scena, lì dove una luce viene dall’alto.Come a dire «Un’aiuto verra sempre dato da Hogwarts a chi se lo merita»…scusate! quello era altro, ma il concetto è lo stesso.
Sulla destra, tornando in primo piano, osserviamo la carnalità dell’intervento divino in questo destriero con il cavaliere e i due uomini forzuti (magnificamente descritti nelle scritture). Eliodoro è messo a terra e sconfitto.
A questo spettacolo assiste assorto dalla sua portantina, e quasi in ombra, papa Giulio II, colui che per primo, chiamato a guidare la chiesa in tempi difficili confida nella preghiera e implora un aiuto dal cielo. L’immagine del papa, le gesta e le preoccupazioni di un pontificato vengono portate sulle spalle ed elevate sulla scena dall’arte: Raffaello e Marcantonio Raimondi.
La messa di Bolsena e il miracolo eucaristico nella Stanza di Eliodoro
Ma veniamo alla parete successiva sulla quale fu raffigurata la Messa di Bolsena. Un evento risalente al 1263, quando un sacerdote boemo dubitante del mistero della transustanziazione (la trasformazione del pane e del vino nel corpo e sangue di Cristo), fu costretto a ricredersi alla vista del sangue sgorgante dall’ostia che macchiò il corporale.
Raffaello studiò una pedana con altare, attorniati da un coro ligneo. Affrescò sulla parte sinistra della parete la rievocazione storica dell’accaduto con l’ecclesia in trepidazione per il miracolo. Un vento dà vitalità alle fiaccole e alle vesti candide dei chierichetti. Sul lato opposto il presente: Giulio II. Questa volta egli è partecipe del miracolo e con le sue mani giunte e la sua imponente persona, si abbandona degnamente alla preghiera. Dietro di lui rimangono lo stupore nei volti dei cardinali e l’ordine e la verosimiglianza delle guardie svizzere.
Il papa e la sua storia
Quanto questo ciclo di affreschi fosse legato alla persona, alla sensibilità e alla cultura del pontefice, lo stiamo ben vedendo. Eppure c’è un ulteriore passo che risulta necessario fare per comprendere l’importanza di questi affreschi e vederli come un vero e proprio manifesto eterno della fede e del potere di Giulio II. Il 22 giugno 1512 il pontefice si recò nella chiesa romana di San Pietro in Vincoli, sua chiesa titolare nella quale erano e sono conservate le catene dell’apostolo Pietro. Il giorno precedente egli aveva avuto la notizia che i francesi erano stati cacciati dall’Italia. Dio aveva liberato dai vincoli il suo popolo.
La liberazione di Pietro dal carcere
Allora l’affresco della liberazione di Pietro dal carcere, realizzato sopra la finestra, la più cupa e drammatica delle raffigurazioni, assume un tono rassicurante e concreto. Le spesse mura della prigione, alla quale abbiamo accesso grazie all’invenzione della cancellata in controluce, le numerose guardie, il buio, sono tutte realtà visibili e che esistono grazie alla presenza luminosa e salvifica dell’angelo. Costui, probabilmente entrato dalla sinistra, ove le guardie si stanno ora risvegliando e l’alba verrà a rischiarare questo notturno estasiante, entra nel carcere, spezza le catene e chiama a sé il Pietro dormiente e orante.
Quel Pietro che, come la Chiesa, sovente si addormenta nella preghiera. La prigionia, la sofferenza, divengono con la presenza di Dio momenti di luce, nei quali gli stessi carcerieri sono ridotti a manichini, a quinte umane.
E, infine, l’uscita. Pietro è sconcertato e come un non vedente necessita ancora di essere preso per mano. L’angelo invece dona parte della sua luminosità al cammino, rischiarando la strada, alla quale sono vocati quei piedi raffigurati magistralmente. Qui Giulio II, sebbene non fisicamente, è più presente che mai, in qualità di successore di Pietro.
Con l’ultima parete si torna nella storia e si richiama ancora l’attualità con la dipartita dei francesi. Su questa è infatti raffigurato l’incontro di papa Leone Magno con Attila, dopo il quale il re degli Unni decise di abbandonare l’Italia. Diversi progetti per quest’affresco dimostrano quanto la composizione sia stata studiata e più volte cambiata. Sulla sinistra il placido gruppo di chierici con il papa e la croce processionale è scortato dall’intervento miracoloso dei due milites cristiani, Pietro e Paolo ai quali è rivolto lo sguardo di Attila, che chiama alla ritirata. Dal lato opposto cavalli imbizzarriti e un tumulto che è dato dal dinamismo del cambiare direzione. La preghiera, sebbene non sia in questo caso centro della composizione è motore dell’azione.
Eppure in questo caso non vediamo papa Giulio II della Rovere e nemmeno Leone Magno, bensì Leone X, il nuovo pontefice. Ma i rapporti tra Raffaello e questo nuovo saranno oggetto del prossimo video.art.