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PODCARDS: Venere e Marte di Sandro Botticelli
Il dipinto di Venere e Marte fu realizzato da Sandro Botticelli nel 1481. L’opera è oggi conservata presso la National Gallery di Londra.
All’interno di una cornice naturalistica da una parte vediamo Venere. La dea è abbigliata con una lunga veste bianca con ricami d’oro. Le pieghe dell’abito sottolineano delicatamente le forme del corpo mentre le morbide ciocche di capelli le incorniciano il volto angelico.
Dall’altro lato della tela troviamo il dio Marte, il quale è raffigurato in un nudo scultoreo completamente abbandonato nel sonno.
Tra i giovani amanti i piccoli satiri giocano con le armi del dio, come racconta Luciano nei suoi Dialoghi.
La presenza del nido di vespe alle spalle di Marte ha fatto supporre che la commissione di tale dipinto sia da riferirsi alla famiglia Vespucci. Inoltre nel volto di Venere, dea della bellezza, sembrerebbero celarsi i lineamenti della giovane Simonetta Vespucci. Quest’ultima ricordata come la donna più bella e ammirata del quattrocento fiorentino e soprattutto per essere stata musa ispiratrice di Sandro Botticelli.
Tra le tante letture iconografiche , si è interpretato il dipinto di Venere e Marte come allegoria matrimoniale , in cui Amore, impersonato da Venere, avrebbe il potere di domare e placare lo spirito bellicoso di Marte.
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La Pietà di Michelangelo
A soli 23 anni Michelangelo Buonarroti realizzò uno dei più importanti capolavori della storia: la Pietà.
La commissione dell’opera al giovane Michelangelo
Le opere nascono in un contesto e risulta solitamente complesso ricostruirlo a posteriori. Lo è anche per la Pietà. Il celebre gruppo scultoreo fu realizzato dal giovane Michelangelo giunto a Roma su commissione di Jean de Bilhères-Lagraulas, divenuto cardinale nel 1593 e nominato da papa Alessandro VI. Il soggetto dell’opera, che doveva decorare il sepolcro del committente, fu sin da subito messo in chiaro:
«Una Pietà di marmo, cioè una Vergine Maria vestita con un Cristo morto nudo in braccio».
Chi mai si sarebbe aspettato che da un blocco di marmo di carrara, appositamente scelto dal Buonarroti e fatto arrivare nella città pontificia, potesse prendere vita un simile capolavoro.
Descrizione dell’opera
A colpire fin da subito è il contrasto deciso eppure armonico tra la veste della Vergine, le pieghe del sudario e la carne morta del Cristo, gelida e liscia. Ci appare un corpo appena scalfito dai segni dei segni della croce in una perfezione apparente che lo avvolge e lo trasfigura. La gravità della morte lo chiama alla terra, lo porta al basso, all’abbandono. Maria si interpone, si mette in mezzo tra la roccia e il Cristo. Le gambe della Vergine lo accolgono nuovamente, il suo braccio destro lo sorregge con sforzo cercando di riportarlo a sé e opponendosi a quell’abbandono. È il braccio disperato della madre. Dalla parte opposta una mano si apre al cielo. Sembra il gesto titubante delle tante annunciazioni: una sorta di… fa tu!? sia fatta la tua volontà. E’ il braccio di Maria sposa di Cristo.
Una Maria ‘coetanea’ di Michelangelo
Quella Maria così giovane che fin dai primi anni destò stupore. Condivi, il biografo del Buonarroti, scrisse: “La castità, la santità e l’incorruzione preservano la giovinezza”. È la Maria vergine e madre, sposa di Cristo e simbolo della chiesa, una chiesa fondata sulla roccia. È la Maria del concepimento di Cristo, che Michelangelo raffigura come una sua coetanea.
La firma e altri particolari
Michelangelo firmò, unica tra le altre, questa opera. Lo fece sulla cintola che separa i seni della Vergine: «MICHAEL ANGELUS BONARROTUS FLORENTINUS FACIEBAT».
Alcuni particolari ci restituiscono l’idea di estrema finitezza dell’opera, che la rendono uno tra i principali capolavori dell’arte. La politura del marmo rifinito in ogni suo angolo; la verosimiglianza del velo di pelle che ricopre l’anatomia del corpo, le vene, i muscoli; l’armonia della mano con le dita lasciatesi separare dalla piega della veste.
Il contesto perduto
Oggi l’opera si trova nella prima cappella della navata Nord della Basilica. Ma non esistendo negli ultimi anni del Quattrocento la basilica che oggi vediamo, dovremmo chiederci dove essa fosse collocata, in quale prospettiva era vista, chi poteva ammirarla. Il committente Jean de Bilhere Lagraulas era uno dei più importanti uomini della Roma dell’epoca e la sua sepoltura era prevista nel mausoleo di Petronilla, la Capella dei Re di Francia in vaticano. Un luogo scomparso con la costruzione della nuova basilica. Un altro contesto perduto, che all’opera avrebbe aggiunto significati ormai recuperabili solo parzialmente.
Una sintesi di qualsivoglia pietà!
Certamente questa pietà era una statua sepolcrale, un’arte che parla di morte e in essa di vita; di abbandono, ma anche di resurrezione; di dolore, ma soprattuto di fede. Nella Pietà di Michelangelo percepiamo come non mai questo duplice significato, questa energia opposta, questo ossimoro di sentimenti: su questo marmo troviamo il braccio della madre che porta a sé e allo stesso tempo quello della Maria che offre suo figlio morto abbandonandosi alla fede nella speranza.
La pietà di Michelangelo è una sintesi di qualsivoglia pietà.
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La Stanza di Eliodoro: gli affreschi di Raffaello per Giulio II