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La lezione di danza di Edgar Degas – PODCARD
La lezione di danza è tra i dipinti più celebri di Edgar Degas. L’artista amante del balletto, realizzò molti dipinti con il medesimo tema, rendendolo uno dei soggetti più fortunati delle sua produzione artistica.
Grazie ad un amico musicista ebbe l’opportunità di ritrarre le ballerine in una situazione del tutto privilegiata, dietro le quinte, in attesa di esibirsi sul palco dell’Opera di Parigi .
La lezione di danza fu realizzata proprio in una di queste occasioni.
La lezione di danza di Edgar Degas
All’interno di una grande sala prove, dall’atmosfera elegante, un gruppo di ballerine è riunito attorno al maestro, forse Jules Perrot, che con sguardo attento osserva una di loro impegnata nell’esecuzione di una variazione classica.
Il maestro è poggiato su di un bastone, forse utilizzato per battere il tempo dei passi.
Le altre ballerine sono disposte in semicerchio e sembrano non prestare attenzione, parlano tra di loro con fare quasi annoiato.
Come una foto
La composizione ha un taglio fotografico. Le linee oblique del parquet accentuano la profondità della sala e rendono la scena dinamica e realistica.
Nonostante la naturalezza che esprime il dipinto, tutti quei dettagli che ad una prima osservazione possono sembrare marginali irrealtà sono frutto di due mesi di studio .
Un impressionista insolito
Degas non rinunciò mai alla ricerca plastica e alla profondità prospettica ma allo stesso tempo come impressionista costruì il colore su giochi di luce per esaltare le figure e renderle più vere e vibranti.
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Il cretto di Gibellina di Alberto Burri – PODCARD
Con la solità brevità dei nostri Podcards, scopriamo oggi una delle opere di Land art più celebri e intense della storia dell’arte italiana e mondiale: il cretto di Gibellina.
Il 14 gennaio 1968 un violento sisma cambiò per sempre la vita degli abitanti della Valle del Belice, tra questi luoghi vi era la città di Gibellina. Il sindaco Ludovico Corrao scelse quest’ultima come luogo simbolo della rinascita post-terremoto .
Per questa ricostruzione e riqualificazione vennero chiamati grandi artisti. I più celebri sono Mario Schifano, Andrea Cascella, Arnaldo Pomodoro, Mimmo Paladino, Franco Angeli, Leonardo Sciascia, Ludovico Quaroni, Franco Purini ed infine Alberto Burri.
Quest’ultimo scelse di realizzare un’opera di gran lunga differente rispetto a quelle dei suoi colleghi.
«Andammo a Gibellina con l’architetto Zanmatti, il quale era stato incaricato dal sindaco di occuparsi della cosa. Quando andai a visitare il posto, in Sicilia, il paese nuovo era stato quasi ultimato ed era pieno di opere. Qui non ci faccio niente di sicuro, dissi subito, andiamo a vedere dove sorgeva il vecchio paese. Era quasi a venti chilometri. Ne rimasi veramente colpito. Mi veniva quasi da piangere e subito mi venne l’idea: ecco, io qui sento che potrei fare qualcosa. Io farei così: compattiamo le macerie che tanto sono un problema per tutti, le armiamo per bene, e con il cemento facciamo un immenso cretto bianco, così che resti perenne ricordo di quest’avvenimento.»
Alberto Burri -
Le Violon d’Ingres di Man Ray-PODCARD
Man Ray immortalò la sua Musa e Amante Kiki de Montparnasse in uno scatto che la ritrae seduta di schiena completamente nuda.
Di lei non vediamo le gambe e le braccia, quello che emerge del suo corpo è solo la curvatura delle spalle, il profilo dei fianchi e quello dei glutei.
Il volto è girato di tre quarti quasi a voler ammiccare all’osservatore.
Indossa solamente un paio di orecchini e un turbante.
Accessori che rievocano uno dei miti dell’erotismo occidentale nel XIX secolo, un soggetto caro alla storia dell’arte : l’odalisca.
Sul quel corpo Man Ray traccia due effe. E così improvvisamente Kiki, dalle forme tonde, morbide e desiderose, si trasforma in un violoncello, in uno strumento da suonare, da toccare e da possedere.
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L.H.O.O.Q. di Marcel Duchamp-PODCARD
Duchamp partì una cianografia, una cartolina tra le più dozzinali e scadenti in commercio, della più celebre opera di Leonardo da Vinci e vi disegnò sul volto baffi e pizzetto.
In calce scrisse l’acronimo L.H.O.O.Q. (Elle a chaud au cul) il quale suono corrisponde alla fase irriverente di «ella ha caldo al culo».
Un’operazione dissacrante che cela un messaggio più profondo della semplice provocazione. La scelta della Monna Lisa è una chiara critica al modello estetico promosso nel tardo ottocento, e alla contemporanea industria della divulgazione che aveva ormai svalutato la venerata icona leonardesca facendone una merce pronta al mero consumo.
Come ricorda Thierry De Duve in ARTEFATTO
vi devono essere quattro condizioni per FARE ARTE :
un referente («questo»), un enunciatore (ossia l’«artista» meglio ciò che rimane di esso) un destinatario («il pubblico») e infine un’istituzione , ovvero un «contesto» entro cui questo incontro accade.
Thierry De DuveIl merito di Duchamp è quello di aver insegnato che il ruolo dell’artista è soltanto una delle quattro componenti.
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La bagnante di Valpinçon di Ingres-PODCARD
Ingres invio la tela da Roma a Parigi per partecipare all’esposizione del Salon del 1808.
Il dipinto fu acquistato dal collezionista Leonard Valpinçon, da cui prese il nome: La bagnante di Valpincon. Divenne di proprietà del Louvre nel 1879.
Ingres ritrae una donna dalle morbide e sinuose forme, seduta di schiena con un turbante che avvolge i capelli bruni e la testa dolcemente rivolta verso destra, lasciandoci immaginare il volto della donna consegnandoci le chiavi di un profilo appena accennato.
La nudità, che appare mitigata dal porgersi di spalle, in realtà è qui enfatizzata.
Il nostro sguardo accarezza la figura, scivolando dolcemente dalla spalla illuminata, lungo il braccio appena piegato, per poi scendere alle gambe timidamente incrociate.
Un’ideale di bellezza classica dipinto in maniera magistrale nella sua estrema semplicità.
Ma una domanda sorge spontanea di che bodyshape parliamo…pera, mela o clessidra?
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Ballo al Moulin de la Galette-PODCARD
Georges Rivière nel 1877 su «L’Impressioniste,Journal d’Art» descrive il dipinto dell’amico Renoir:
«La domenica, la musica del ballo riempie la strada, e i bambini delle case vicine ballano gridando nelle corti. Intorno al ballo le strade sono piene di giovani, di famiglie intere con il loro seguito di bambini che corrono ai giochi e ai cavallini di legno sistemati lì vicino. Non ci sono che risate, grida, scherzi dalle tre fino a mezzanotte. Sempre numeroso, il pubblico del Moulin è composto esclusivamente da giovani, tra i quali vi è un certo numero di pittori che vengono a cercare dei modelli…Dalle tre di pomeriggio, le polche e le quadriglie si alternano senza interruzione.»
Renoir realizza questa meravigliosa istantanea a colori nel 1876. La scena sembra svilupparsi oltre i margini della tela catapultando l’osservatore nell’atmosfera vivace e chiassosa della domenica al Moulin de la Galette. Percepiamo la spensieratezza, vediamo sorrisi e udiamo le musiche…a danzare insieme alla borghesia è la luce del sole parigino.
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Alchimia di Jackson Pollock-PODCARD
“Quando sono nel mio quadro, non sono cosciente di quel che faccio. Solo dopo una specie di “presa di coscienza” vedo ciò che ho fatto. Non ho paura di fare dei cambiamenti, di distruggere l’immagine, ecc. Perché un quadro ha una vita propria. Tanto da lasciarla emergere. Solo quando perdo il contatto col quadro il risultato è caotico. Altrimenti c’è armonia totale, un rapporto naturale di dare e avere, e il quadro riesce”.
Jackson PollockLo sguardo percorre tutta l’opera riempita dal colore che è colato sulla tela in modo del tutto casuale. Le linee si assottigliano e si ispessiscono, acquistano velocità e scorrono lentamente, a seconda della densità della pittura.
La linea non serve più per descrivere figure o contenere forme, ma esiste in qualità di evento autonomo riportando sulla tela i movimenti del corpo dell’artista e le sue scelte istantanee.
Un caos si, ma che esprime armonia, l’assoluto nel gesto del dripping.
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Le due Frida di Frida Kahlo – PODCARD
Le due Frida, due donne a confronto, allo specchio, per far emergere l’ambivalenza dell’animo di una donna profondamente fedele ai suoi sentimenti e a se stessa.
Due Frida: quella di destra vestita in abiti colorati e popolari che richiama la tradizione messicana, è la donna amata da Diego Rivera; quella di sinistra in abito bianco che rappresenta l’emancipazione europea è la donna abbandonata da Diego.
Le due figure che sembrano così distanti in realtà sono vicine e unite dall’arteria che irrora i due cuori.
È un dialogo solenne tra la sofferenza dell’abbandono e la consapevolezza che ogni rottura è anche segno di cambiamento, di rinascita.
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La nascita di Ferragni, scusate, di Venere!
«Nel tempestoso IG in grembo a Schmidt
si vede negli Uffizi un personaggio accolto,
sotto diverso volger di obbiettivi
errar per sale in vesti e firme avolto;
ed essa nata in atti vaghi e lieti
è una donzella oh sì d’umano volto,
da social lascivi spinta a proda,
gir sovra un nicchio (‘na conchiglia) e par che i fun ne godan!»Mai mi sarei atteso di salutare l’arrivo di Chiara Ferragni agli Uffizi mettendo goliardicamente mano alle stanze del Poliziano che accompagnarono negli anni Ottanta del Quattrocento l’elaborazione di due dei più celebri dipinti di Sandro Botticelli: La primavera e La Nascita di Venere.
L’opera di Sandro Botticelli
Venere: una perfezione giocata sull’instabilità di un corpo poggiato su un solo piede, il piede che conduce la conchiglia a riva in balia delle onde. Un’istantanea statica che ha in sé il dinamismo pacato della pudicizia. La dea sta approdando sull’isola di Cipro e, come immaginò nelle sue Stanze il Poliziano, cela le sue nudità («la dea premendo colla destra il crino, / coll’altra il dolce pome ricoprissi») in attesa di essere involta in un vestimento floreale ricamato di mirti, primule e rose. È una delle Ore a porgere a Venere il manto, Primavera forse, la stagione degli amori. Nella simmetria bilanciata dell’opera sono infine Zefiro e l’altra figura femminile a lui fisicamente attorta, forse Bora, a sospingere con il loro soffio di rose la dea: un modo quanto più delicato per rendere visibile il vento.
Ma perchè nel Quattrocento riecheggiare e rappresentare miti antichi narrati da Omero, Lucrezio e Ovidio? Lo studio, le carte, le scoperte, in poche parole l’umanesimo, portò alla riscoperta dell’antico, all’apprezzamento e alla ripresa dei valori eterni visti con la lente dell’uomo che l’uomo era ed è. Quell’uomo che a sua insaputa stava per uscire dal medioevo.
Quali sono allora i significati sottesi alla Venere? Venere è dea dell’amore, ma nel Quattrocento la sua immagine ‘pagana’ passa per il filtro neoplatonico e la filosofia ficiniana, accentuando la semplicità e la purezza della sua bellezza, smaterializzando un corpo troppo umano e rendendola immagine pregna della componente estetica dell’humanitas e della bellezza sì, ma dell’anima. Si viene in qualche modo meno ad una profondità visiva e prospettica perchè l’immagine, il canone, entri nell’osservatore e sia veicolo di valori e ideali. I particolari di cui sono colme le opere di Botticelli non sono mai puro estetismo, non sono solamente dettagli di armonizzazione formale e cromatica, bensì rappresentano un vero e proprio codice iconografico con significato preciso e spesso a noi sfuggente, eppure ben leggibile agli occhi dei committenti e dei contemporanei dell’artista.
L’opera giunse nella collezione medicea presso la villa di Castello di Giovanni e Lorenzo dei Medici cugini di Lorenzo il Magnifico e lì fu esposta (come ci racconta il Vasari) insieme alla celebre Primavera. Di questo ciclo mitologico facevano probabilmente parte anche Venere e Marte e Pallade e il Centauro. Tuttavia il dipinto non fu originariamente realizzato per la villa, e dovette essere lì portato da Cosimo I prima della visita del Vasari. Botticelli lo realizzo intorno al 1486, dopo il rientro da Roma e i lavori nella cappella Sistina.
Tra i particolari più celebri il volto, sembra ritrarre le fattezze dell’amata Simonetta Vespucci, donna dalla bellezza senza paragoni alla quale gli Uffizi hanno accostato Chiara Ferragni quale donna che incarna oggi una « sorta di divinità contemporanea nell’era dei social ».
La questione Ferragni
In poche parole: Ferragni fa uno shooting agli Uffizi per Vogue Honkong e il museo pubblica alcuni scatti sui social, entrando nelle tendenze della macchina infernale di Instagram e ricevendo una grande pubblicità, in particolar modo tra i giovani. Tutto questo ha avuto un effetto positivo nell’immediato: il giorno successivo gli Uffizi hanno comunicato di aver avuto un incremento del 27 % di biglietti venduti a under 25; ma anche un effetto negativo consistente negli insulti e le critiche piovute sulla giovane imprenditrice da ogni dove e, in particolar modo, dal mondo della cultura.
Alcuni (s)punti di riflessione che la questione pone:
È giusto o meno l’utilizzo dei luoghi di cultura per occasioni simili? Si è tirato in ballo il «Marcello come here» di Anita Eckberg nella Fontana di Trevi in La Dolce Vita di Federico Fellini, si è fatto cenno alla piazza di Lecce trapunta di luci e pizzica per la sfilata di Dior; Ebbene questi eventi non possono essere presi come riferimento in quanto rappresentano anch’essi una forma d’arte, e bellezza! Dall’altro lato si è tirato in ballo Della Valle e la sua cena privata al Colosseo. Potrei essere stato d’accordo, se costui non avesse finanziato per intero il restauro dell’anfiteatro. Ma di cosa stiamo parlando? Davvero pretendiamo di mandare avanti il mondo culturale, con il patrimonio storico-artistico italiano senza aiuti esterni al pubblico? Senza i Medici a pagare, la Venere sarebbe ancora nella sua conchiglia. E così per altre mille committenze.
E per il caso specifico Ferragni? niente da dire! Anzi ben venga che i musei si aprano a ciò e si facciano aiutare dai nuovi imprenditori e personalità digitali. Invece di insultare il lavoro e le scelte di alcune persone cerchiamo di centrare il punto e porci domande sia sulla gestione museale, sia sulle nostre scelte giornaliere legate o meno al mondo della cultura.
Nel primo ambito bene la pubblicità, ma c’è poi un problema: chi e come pensa alla fruizione del museo? Chi e come accompagna quei giovani incappati davanti alla Venere anche solo per un selfie? Chi e come suggerirà ai visitatori che dietro un’immagine, un quadro e la stessa Venere c’è un bisogno, una richiesta e un invito impellente ad andare oltre?
Questa è la sfida vera che trascende chiacchiericci e articoli e per la quale molti educatori, curatori e guide turistiche stanno già lavorando con esperienza, pazienza e amore. Ma c’è da fare di più, e – guarda caso – mancano soldi! Portare persone al museo è un primo passo, ma farle tornare è poi l’obbiettivo: conoscere, approfondire, e lasciare da parte la superficie.
Ecco allora il secondo ambito, quello personale e privato: Davvero vogliamo che i musei, la cultura, la bellezza, tornino di tendenza? E intendo nel senso letterale del termine: Tendere, volgersi a, volgere gli occhi, il cuore l’anima a qualcosa. Perché questo tipo di tendenze sono difficili da realizzare e vivere, ma sono ben più durature di una tendenza social e hanno poi il valore aggiunto della formazione, perché quando il nostro animo si volge a qualcosa di bello, prende la sua forma!
Sta ad ognuno, con le scelte quotidiane, contribuire a tutto ciò e provare ad andare Oltre!