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LA VISIBILITÀ: un memo per il nostro tempo. Da Calvino, per Dante e Bernini.
La fantasia è un posto dove ci piove dentro. È questa un’affermazione che potrebbe apparire strana, eppure sono parole di Dante Alighieri:
«Poi piovve dentro a l’alta fantasia» (canto XVII del Purgatorio)
La visibilità secondo Dante
Nella Divina Commedia attraverso il suo viaggio ultraterreno, Dante ci fa rivivere i suoi incontri e i dialoghi con le anime che incontra lungo il cammino. Ma come descrivere anime senza corpo? Dapprima le delinea quasi come bassorilievi, poi quali forme sfuggenti percepibili non più bene alla vista, quanto piuttosto all’udito; infine come immagini mentali piovute, appunto, dall’alto. L’immaginazione, e cioè il dono di rendere visibili i pensieri, viene secondo il poeta da Dio, e fa sì che «Om non s’accorge perchè dintorno suonin mille tube».
La cosa veramente senza precedenti è il fatto che il Dante nella Commedia, il Dante personaggio, rifletta sulla parte visuale della fantasia, chiamando in causa il Dante poeta, il quale immagina e scrive e, in questo momento, immagina e scrive di se stesso personaggio che immagina.
Due inversi processi…
Ci sono due inversi processi per la visibilità, due processi immaginativi che riguardano in particolar modo la letteratura ma che possono essere applicati ad ogni altra forma d’arte. L’uno si diparte dall’immagine mentale per poi concretizzarsi nell’espressione verbale, orale, scritta, pittorica o come nel caso che vedremo oggi, scultorea. L’altro si diparte dalla parola o dall’opera per arrivare all’immagine o a nuove immagini. In altre parole l’uno è quello dello scrittore o dell’artista che immagina e cerca poi le parole e le tecniche esatte per restituire un’immagine quanto più verosimile a quella formatasi nel suo io, nella sua mente.
L’altro è quello del lettore o dell’osservatore che ha la libertà ‘sorvegliata’ di partire da quelle lettere nere su fondo bianco o da un taglio di Fontana, una plastica di Burri, per costruire un realtà mentale e immergercivisi.
Per il secondo di questi processi possiamo pensare al ‘cinema’ che si accende nella nostra mente durante la lettura di un libro o l’ascolto di una narrazione.
Un esempio nell’opera di Sant’Ignazio di Loyola
Immaginiamo allora di leggere questa parole tratte dagli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola.
«Il primo punto è vedere le persone, le une e le altre; e prima quelle sulla faccia della terra in tutta la loro varietà di abiti e di gesti, alcuni che piagono, altri che ridono, alcuni in pace altri in guerra, alcuni che nascono e altri che muoiono. Poi vedere e considerare le tre persone persone divine come sul loro soglio regale o trono della loro divina maestà, come guardando tutta la faccia e la rotondità della terra e tutte le genti in tanta cecità e come muoiono e van giù nell’inferno».
Questo è un esempio bellissimo di richiamo all’immaginazione che ci porta ad un dialogo quasi dovuto con l’arte del medesimo periodo. Avete contato quante volte in due frasi Sant’Ignazio ha scritto la parola tutto? Ecco: lo scritto rimane limitato nei suoi segni, ma può suggerire e spingere ad una complessità e ad una varietà tale da risultare indeterminate. Nessuno leggerà una frase di un libro immaginandola nel medesimo modo. Ignazio di Loyola spinge il fedele «a dipingere lui stesso sulle pareti della propria mente gli affreschi gremiti di figure».
E ora Bernini con il suo capolavoro Apollo e Dafne
Ma certo Dante e Ignazio di Loyola sono ispirati da Dio, e me cojoni, magari tutti! Come anche il primo pittore iconografo della Chiesa: San Luca (secondo la leggenda).
Eppure oggi ci soffermiamo su un artista facendo un salto nel Seicento. Un genio del Barocco, uno dei momenti più felici per l’immaginazione artistica: Gian Lorenzo Bernini. C’è nel Bernini scultore un rapporto quanto mai perentorio, immediato tra immaginazione e forma. Chissà dove avrà letto di Dafne e Apollo, chissà quante volte creò nella sua testa quella composizione. Certo, non avrebbe potuto pensare una realizzazione migliore di quell’opera.
La corsa del giovane apollo perdutamente innamorato della ninfa è una ricerca spasmodica, incauta e sconosciuta, perchè amore è mistero, pulsione. Apollo poggia su un piede solo si protende verso Dafne cingendo il suo grembo. E se la mano del Dio michelangiolesco infondeva lo spirito nell’uomo, il tocco dell’amore cieco di Apollo dà il via alla metamorfosi: Dafne chiede a suo padre il fiume Penèo di dissolvere la sua forma. Scendendo dall’ombelico le linee delle gambe della ninfa si fondono con la corteccia tramutandosi in un albero quanto mai suadente. Dalle dita dei piedi sgorgano radici che penetrano nel terreno.
In alto il dramma della giovane che vuole sottrarsi a quell’amore cieco: il grido di lei e le braccia frondose che si rivolgono al cielo in cerca di luce e di salvezza. Bernini scrive sul marmo un attimo di quella storia, un momento di quella metamorfosi. Già metamorfosi… cambiamento. Quale paradosso scolpire sul marmo una metamorfosi, che follia scrivere su carta o dipingere su tela realtà mutevoli.
Ecco allora che «l’immaginazione, usata come strumento di conoscenza da alcuni, come identificazione con l’anima del mondo da altri, risulta essere anche un repertorio del potenziale». Un vasto golfo o mondo, diceva Giordano Bruno dello spiritus phantasticus, mai saturabile di forme e di immagini.
Questo è il motivo per il quale l’arte avrà sempre un futuro, ecco perchè la letteratura, la poesia potranno avere sempre la speranza di guardare avanti. Questo mondo, questo golfo, sono via imprescindibile per qualsivoglia forma di conoscenza.
L’immaginazione oggi
E tuttavia, quale ruolo ha in questo golfo fantastico l’immaginario indiretto? Cioè l’insieme di immagini che la società e la cultura di massa ci propone? E soprattutto, si chiedeva Calvino «quale sarà il futuro dell’immaginazione individuale in quella che si usa chiamare la civiltà dell’immagine? Il potere di evocare immagini in assenza continuerà a svilupparsi in una società sempre più inondata dal diluvio delle immagini prefabbricate?».
Pensiamo anche semplicemente alla vita e alla cultura dei nostri nonni, il quale patrimonio visivo era costituito dalle esperienze dirette e da un ridotto repertorio di immagini derivanti dalla cultura. Da qui nasceva la possibilità di dare forma ai propri miti personali. Oggi siamo invece sommersi di immagini, da una quantità tale di immagini che probabilmente nemmeno Calvino avrebbe mai immaginato. Pensiamo a quanto l’immagine preconfezionata predomini oramai sulla scrittura: non leggiamo più, comunichiamo per foto o audio. Gran parte delle immagini che ci troviamo di fronte sono inoltre ridotto all’osso, semplificate, mono-messaggio. Le immagini complesse non funzionano!
In tutto ciò è sempre più difficile che una figura, un progetto, un’idea, acquistino rilievo.
Stiamo correndo seriamente il rischio di perdere la facoltà di ragionare per immagini, di chiudere gli occhi e vedere e immaginare, non solamente fantasticare, bensì costruire. Forse, e dico forse, a noi consumatori e produttori di immagini del nuovo millennio, spetta l’arduo compito di riscoprire questo valore imparando di nuovo ad immaginare veramente (perché non pensare ad una pedagogia dell’immaginazione?), facendo ben attenzione alle immagini e anche al mezzo che scegliamo. Perché il mezzo non è tutto, ma è molto.
Carta, tela e marmo ci arrivano dal passato e si proiettano nel futuro…chissà se potranno dire altrettanto dei nostri schermi!
Italo Calvino