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    Il Canto III e la porta dell’Inferno di Rodin

    Con il Canto III dell’inferno il poeta Dante inizia il suo viaggio nel mondo ultraterreno. Lo fa, scegliendo come punto di partenza un simbolo caro alla cultura antica: la porta.

    Tradizionalmente infatti, la porta delimitava un confine, una linea chiamata limes che separava la vita dalla morte, il regno dei vivi da quello dei morti.

    È la porta dell’Inferno, al di sopra della quale sono scritte queste parole:

    ’Per me si va ne la città dolente,

    per me si va ne l’etterno dolore,

    per me si va tra la perduta gente.

    Giustizia mosse il mio alto fattore;

    fecemi la divina podestate,

    la somma sapïenza e ’l primo amore.

    Dinanzi a me non fuor cose create

    se non etterne, e io etterno duro.

    Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’.

    Quando le parole prendono forma…

    A dare forma alle parole e all’immaginario di Dante è in questo caso lo scultore francese Auguste Rodin.

    Nel 1880 il Mistero della pubblica istruzione di Parigi scelse un giovane artista, ancora poco noto al grande pubblico, per la realizzazione di una porta bronzea per l’ingresso del Museo delle Arti decorative, museo che doveva sorgere dove oggi si trova il museo d’Orsay.

    La scelta del tema dantesco per la porta dell’inferno di Rodin

    Appena ricevuta la commissione Rodin iniziò subito a lavorare sulla porta, la scelta del tema dantesco non fu certo un caso. Infatti in quegli anni Dante era considerato uno dei giganti della letteratura e preso come modello da moltissimi artisti francesi per la realizzazione di sculture e dipinti. 

    Inoltre la passione per il Bel Paese e la sua cultura, da parte di Rodin, resero la scelta del tema più che naturale.

    I primi studi per la porta dell’inferno di Rodin

    Per iniziare a lavorare i suoi modelli Rodin utilizzò gli schizzi e gli studi realizzati durante il suo Tour in Italia, noti anche come Disegni Neri.

    L’artista al quale Rodin s’ispirò maggiormente, come vedremo in seguito, fu il grande maestro Michelangelo Buonarroti

    In un primo momento lo scultore pensò alla narrazione dell’inferno attraverso una selezione di episodi da incorniciare all’interno di formelle, citando la cultura rinascimentale italiana con la Porta del Paradiso del Battistero di Firenze di Lorenzo Ghiberti. 

    Tuttavia, dopo un’attenta analisi, tale soluzione fu scartata in favore di una narrazione più fluida e continua che interessasse tutta la superficie della porta dai due battenti all’architrave. 

    L’improvvisa interruzione dei lavori

    Quando nel 1889 si capì che il museo non avrebbe mai visto la luce Rodin scelse di bloccare i lavori e la porta rimase in sospeso per diversi anni.

    Solo nel 1899 il modello in gesso fu montato per nell’esposizione personale di Rodin a Place de l’Alma nel 1900 e successivamente al Musée Rodin di Meudon.

    La porta dell’inferno in diverse parti del mondo

    Ad oggi conosciamo molte versioni in bronzo di quest’opera, sono tutti multipli originali, fusi anni dopo la scomparsa dell’artista e che si trovano presso il Museo Rodin di Parigi, a Zurigo, in California, a Philadelphia e a Tokyo.

    Nonostante si tratti di un’opera incompleta, tale scultura rappresenta ancora oggi l’emblema dell’arte di Rodin. 

    Si tratta di una porta colossale. Misura infatti sei metri in altezza per quattro metri in larghezza. La superficie contiene più di duecento figure scolpite e ispirate interamente alla commedia dantesca. 

    Auguste Rodin, Porta dell’inferno 1880-1917, Bronzo, 635×400×100 cm Musée Rodin, Parigi

    Ma cosa sceglie di raccontare Rodin? 

    L’artista sceglie di rappresentare l’intera cantica dell’Inferno, raccontando le vicende e le passioni dei personaggi simbolo del primo regno. Rodin decide di far muovere tutte le figure per mano di quel vento incessante che Dante continuamente cita nella narrazione, come metafora dell’abbandono. 

    Auguste Rodin, Porta dell’inferno, calco in gesso

    L’amore di Paolo e Francesca

    Uno dei canti che più affascina Rodin è il V canto dell’Inferno con i Lussuriosi e il celebre amore di Paolo e Francesca. Per descrivere al meglio la figura dei due amanti, Rodin scelse di realizzare la scultura nota come Il Bacio. Questa è tra le opere più famose dell’artista e fu presentata in un’esposizione al Louvre che la destinò alla celebrità.

    Nonostante il notevole risultato Rodin cambiò idea, ritenendo questa scena troppo intima e romantica per descrivere la dannazione dei due amanti. 

    Scelse di sostituirla con un’altra famosissima opera intitolata Fugit amor. Due figure pensate separate, l’una di spalle all’altra e incatenate tra loro, dall’andamento sinuoso e fluido.

    Lo stesso scultore afferma:

    « Quando i personaggi sono perfettamente modellati, si avvicinano l’uno all’altro, raggruppandosi da soli. Io ho calcato due personaggi separatamente, li ho messi insieme e ciò è bastato»

    Auguste Rodin

    Rodin alla fine, scelte di collocare il gruppo scultoreo di Paolo e Francesca per ben due volte sulla porta: sia sul battente di sinistra che su quello di destra, in posizioni diverse. 

    Il fascino della dannazione

    Quello che Rodin vuole raccontare mediante queste figure è da una parte la drammaticità narrata da Dante, ma parallelamente la bellezza che si cela dietro la poesia della Commedia e l’irresistibile fascino che spinge l’uomo alla dannazione. E’ qui da comprendere anche quanto Rodin fosse vicino alla poesia francese dell’epoca il cui capolavoro, I Fiori del Male di Baudelaire, Esaltava la ricerca della bellezza in ogni aspetto della realtà, concependo e facendosi forza anche dell’estetica del male e del brutto.  

    “Inno alla bellezza”

    Vieni dal cielo profondo o esci dall’abisso,

    Bellezza? Il tuo sguardo, divino e infernale,

    dispensa alla rinfusa il sollievo e il crimine,

    ed in questo puoi essere paragonata al vino.

    Racchiudi nel tuo occhio il tramonto e l’aurora;

    profumi l’aria come una sera tempestosa;

    i tuoi baci sono un filtro e la tua bocca un’anfora

    che fanno vile l’eroe e il bimbo coraggioso.

    Esci dal nero baratro o discendi dagli astri?

    Il Destino irretito segue la tua gonna

    come un cane; semini a caso gioia e disastri,

    e governi ogni cosa e di nulla rispondi.

    Cammini sui cadaveri, o Bellezza, schernendoli,

    dei tuoi gioielli l’Orrore non è il meno attraente,

    l’Assassinio, in mezzo ai tuoi più cari ciondoli

    sul tuo ventre orgoglioso danza amorosamente.

    Verso di te, candela, la falena abbagliata

    crepita e arde dicendo: Benedetta la fiamma!

    L’innamorato ansante piegato sull’amata

    pare un moribondo che accarezza la tomba.

    Che tu venga dal cielo o dall’inferno, che importa,

    Bellezza! Mostro enorme, spaventoso, ingenuo!

    Se i tuoi occhi, il sorriso, il piede m’aprono la porta

    di un Infinito che amo e che non ho mai conosciuto?

    Da Satana o da Dio, che importa? Angelo o Sirena,

    tu ci rendi fata dagli occhi di velluto,

    ritmo, profumo, luce, mia unica regina!

    L’universo meno odioso, meno pesante il minuto?  

    Così, attraverso le parole di Baudelaire, la scultura di Rodin prende forma con linee sensuali e sinuose che conferiscono ai corpi contorti e dannati dell’inferno un senso di attrazione e di fascinazione.

    L’intento di Rodin è quello di indagare le passioni umane, lasciando da parte la condanna più caratteristica del sostrato culturale medievale della Commedia. 

    Il conte Ugolino

    Appena sopra le figura di Paolo e Francesca vediamo un’altra importantissima figura che Dante relega al XXXIII Canto dell’Inferno: il Conte Ugolino.

    Auguste Rodin, Porta dell’inferno, dettaglio conte Ugolino

    Il Conte Ugolino della Gherardesca fu un nobile pisano attivo nel conflitto guelfi e ghibellini e il quale fu accusato di tradimento e rinchiuso nella torre della Muda insieme ai suoi figli e ai nipoti.

    Al Conte in vita fu inflitta la pena più atroce di tutte, vedere i proprio figli morire ed essere inermi difronte a tale evento. 

    Una nuova iconografia

    Tradizionalmente il Conte veniva rappresentato seduto con accanto i proprio figli. Rodin invece stravolse l’iconografia accademica.

    Lasciatosi ispirare dalle parole di Dante, Rodin scolpì Ugulino accasciato a terra, che tasta disperatamente i corpi dei figli esanime, piegato dal dolore e dalla fame. 

    Nel volto scolpito da Rodin vi è tutta la disperazione e l’agonia narrata nelle terzine del Sommo poeta.

    Le tre ombre

    A coronamento della porta trovano posto i tre spiriti fiorentini incontrati da Dante nel Canto XXV, nell’ottavo cerchio, quello dedicato ai ladri.  

    Il numero tre è un numero che si rintraccia nella Commedia dalla scelta di tre cantiche, ai trentatré canti fino alle terzine .

    A tal proposito Rodin realizza le Tre ombre, un’unica figura che ruota in tre angolazioni diverse, il perno di rotazione è il braccio proteso in basso ad indicare la discesa nel baratro. Un monito per ricordarci cosa ci aspetta se incuranti della nostra condotta nella vita terrena.

    Una composizione plastica che svela da ogni angolazione scorci espressivi diversi. 

    Rodin qui ha in mente le anatomie, i corpi e i volti creati da Michelangelo nella cappella Sistina. 

    Auguste Rodin, Le tre ombre (1886 circa), Musée Rodin, Parigi

    Il Pensatore

    La statua del Pensatore, è collocato sull’architrave della porta. 

    Una figura seduta china in avanti con il mento appoggiato sulla mano destra. 

    Il modello artistico di riferimento per tale opera fu anche in questo caso Michelangelo con il Lorenzo de’Medici della Sagrestia Nuova, noto all’epoca come il Pensieroso. Mentre per la plasticità anatomica e la contrazione muscolare un altro riferimento fu la statuaria classica con il torso del Belvedere

    Rodin fu un convinto assertore della necessità di esprimere il movimento attraverso la tensione plastica delle membra, non attraverso la mimesi fotografica dell’atto.

    L’emblema del genio dantesco

    Auguste Rodin, La porta dell’inferno, dettaglio Pensatore

    Durante la lavorazione di questa scultura Rodin identifica la figura del Pensatore con quella di Dante stesso. Il Sommo poeta seduto nella parte più alta, che osserva l’inferno e riflette su ciò che vede; parallelamente è anche il Dante creatore della cantica. 

    E come Cristo nel Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina è posto al centro a governare la complessità e la confusione di un groviglio di corpi. 

    Il pesatore diventa l’emblema dell’artista, del genio, del poeta di colui che medita sul mondo, raccontandolo attraverso l’arte. 

    Il genio di Dante supera i confini del tempo e dello spazio, e dalla sua arte sono nate e nascono ancora oggi altre opere, in un circolo virtuoso in cui l’arte genera arte, il bello genera bello.

    Cosa pensa Rodin di Dante…

    «Dante non è solamente un visionario e uno scrittore; è anche uno scultore. La sua espressione è lapidaria, nel senso buono del termine. Quando descrive un personaggio, lo rappresenta solidamente tramite gesti e pose. […] Ho vissuto un intero anno con Dante, vivendo di nulla se non di lui e con lui, disegnando gli otto cerchi dell’inferno…»

    Auguste Rodin, Il Pensatore, Musée Rodin, Parigi

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    Il Canto XIII dell’Inferno: Pier delle Vigne e i suicidi

    Attraverso questo canto XIII dell’Inferno della Divina Commedia, il poeta Dante ci conduce alla scoperta delle profondità umane. Un canto che, tra pietà, commozione e rispetto, affronta uno gli argomenti più dibattuti in seno alla Chiesa di allora e di oggi e al tempo stesso più personali e dolorosi: il suicidio. I suicidi saranno dunque i personaggi che incontreremo e, tra loro, conosceremo la tragedia di Pier delle Vigne.

    L'inizio del canto XIII dell'Inferno: il bosco

    «Non era ancor di là Nesso arrivato,

    quando noi ci mettemmo per un bosco

    che da neun sentiero era segnato.»

    (Inferno, Canto XIII, vv. 1-3)

    Immaginiamoci in compagnia di Dante il quale, terzina dopo terzina e canto dopo canto, continua nella discesa agli inferi. Giunti nel secondo girone del settimo cerchio ci ritroviamo al dentro di un bosco senza alcun sentiero tracciato. In una sola terzina il poeta detta linee e colori di quanto si presenta alla sua visione:  

    Non fronda verde, ma di color fosco;

    non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;

    non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco.

    (Canto XIII dell’Inferno, vv. 4-6)

    Colori scuri e tetri, linee curve e spezzate. Il bosco, l’unico dell’inferno, costituisce il paesaggio di questo canto.

    Dunque, quella che ci viene descritta è una selva verosimile che al poeta ricorda, anche se più fitta e impenetrabile, quelle della Maremma. Eppure è una selva a modo suo disumana, priva dei tratti di bellezza e fascinazione che caratterizzano i boschi terreni.

    Gustave Doré, canto XIII i suicidi e le arpie

    La pena dei suicidi: alberi in preda alle arpie

    Tuttavia il bosco non è solo ambientazione e paesaggio di questo canto XIII dell’Inferno. Gli alberi che lo compongono celano in realtà un’invenzione quasi cinematografica.

    «Io sentia d’ogne parte trarre guai

    e non vedea persona che ’l facesse;

    per ch’io tutto smarrito m’arrestai.

    Cred’ïo ch’ei credette ch’io credesse

    che tante voci uscisser, tra quei bronchi,

    da gente che per noi si nascondesse».

    (Canto XIII dell’Inferno, vv. 22-27)

    Qui Dante ode delle voci e in queste terzine parla e ragiona da uomo: chiunque infatti, al sentire in un bosco delle urla, crederebbe qualcuno nascosto dietro agli alberi. Sono invece le anime dannate dei suicidi racchiuse nei tronchi. 

    Ecco allora che il bosco è sì il paesaggio di questi cerchio, ma ne è anche il personaggio, gli abitanti.

    «Però disse ’l maestro: “Se tu tronchi

    qualche fraschetta d’una d’este piante,

    li pensier c’ hai si faran tutti monchi”.

    Allor porsi la mano un poco avante

    e colsi un ramicel da un gran pruno;

    e ’l tronco suo gridò: “Perché mi schiante?. […]

    Uomini fummo, e or siam fatti sterpi”.»

    (Canto XIII dell’Inferno, vv. 28-33)

    Dante e Pier delle Vigne canto XIII Inferno

    Ebbene questo è il momento in cui si oltrepassa il confine del reale e le parole iniziano a descrivere facendosi immagine. 

    Siamo nel secondo girone del settimo cerchio, ove sono puniti coloro che hanno usato violenza contro se stessi: i suicidi e gli scialacquatori.

    Dannati e pena rientrano allora, alla luce di quanto detto, nel mondo regolatore del contrappasso: coloro che hanno rinnegato e rifiutato il loro corpo, sono costretti nell’inferno sotto le sembianze di sterpi continuamente spogliati e rotti dalle arpie.

    Quindi, Dante riprende l’invenzione della pianta che prende la parola dal libro III dell’Eneide, poema scritto dal Virgilio da lui scelto come guida. Eppure l’essenza di questi rovi e di questi arbusti e alberi umanizzati è caricata da Dante di un significato nuovo, pregno della morale cristiana.

    La storia di Pier delle Vigne: il canto XIII della Divina Commedia

    «Come d’un stizzo verde ch’arso sia

    da l’un de’ capi, che da l’altro geme

    e cigola per vento che va via,

    sì de la scheggia rotta usciva insieme

    parole e sangue; ond’io lasciai la cima

    cadere, e stetti come l’uom che teme.»

    (Canto XIII dell’Inferno, vv. 40-45)

     

    La narrazione che riguarda la vicenda di Pier delle Vigne è una delle più figurative e concrete di tutta la Divina Commedia. In questi versi Dante restituisce un’immagine precisa e quanto mai surreale della sua visione: un ramo spezzato dal quale escono insieme sangue e parole con la stessa leggerezza con la quale esce il fumo da una estremità d’un tronco ardente.

    Ma chi è allora il tronco al quale Dante si è apprestato e al quale ha staccato un ramo? 

     

    «Io son colui che tenni ambo le chiavi

    del cor di Federigo, e che le volsi,

    serrando e diserrando, sì soavi,

    che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi;

    fede portai al glorioso offizio, 

    tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e’ polsi.»

    (Canto XIII dell’Inferno, vv. 58-63)

     

    Pier delle Vigne fu personaggio chiave del regno di Federico II. Nato a Capua, studiò a Bologna e fu accolto intorno al 1220 alla corte dell’imperatore come notaio della cancelleria imperiale. Per più di venti anni svolse numerose cariche di prestigio presso la corte, amministrative e diplomatiche fino a divenire primo segretario e portavoce di Federico II.

    L'ingiustizia «ingiusto fece me contra me giusto»

    Nel 1249 fu però privato di ogni carica, arrestato e incarcerato. Fu accecato con un ferro rovente e in questa condizione di prigionia decise di darsi la morte

    La meretrice, l’invidia, che è morte comune e vizio diffuso nelle corti 

    «infiammò contra me li animi tutti;

    e li ‘nfiammati infiammar sì Augusto,

    che lieti onor tornaro in tristi lutti.

    L’animo mio, per disdegnoso gusto, 

    credendo col morir fuggir disdegno,

    ingiusto fece me contra me giusto»

    (Canto XIII dell’Inferno, vv. 67-72)

    Quest’ultimo verso rivela la prospettiva di colui che compie l’atto e tutto ruota attorno alla giustizia e alla dimensione di solitudine amplificata dalla ripetizione del «me». Solitudine, isolamento che si fanno carne nell’opera realizzata da Valentina Vannicola per questo canto XIII.

    E se qualcuno di voi due tornerà nel mondo – continua il personaggio – «conforti la memoria mia». La mente del dannato è concentrata sulla dimensione terrestre, sulla memoria del suo nome.

    Valentina Vannicola, I suicidi

    Il suicidio secondo Dante

    Il suicida, in Dante e in questo canto XIII dell’Inferno, perde l’occasione di un riscatto, lascia da parte una realtà che si trova poi a rimpiangere, non solo e non tanto per la condizione infernale che si troverà a vivere, quanto per non aver possibilità di riscattare le motivazioni per le quali ha compiuto quell’atto di superbia

    Un supremo atto di ingiuria verso se stesso e verso il supremo amore divino.  

    Infine, la critica ritiene questo uno dei canti perfetti della Commedia. Dietro questa perfezione non possiamo che ravvisare un sentimento profondamente umano che Dante, pellegrino e scrivente, prova nei confronti di questi dannati: «tanta pietà m’accora»

    Ciò che fu Federico II per Pier delle Vigne, fu Firenze per Dante.

    In questo canto traspare una riflessione acuta e accurata dell’uomo Dante sul suicidio e sulle ragioni, una riflessione anche autobiografica.

    Ma veniamo a noi. Le due illustrazioni che hanno accompagnato questo percorso sono incisioni di Gustave Dorè, nelle quali sembra emergere una corrispondenza tra i tracciati delle linee e il lessico usato da Dante nello svolgersi di questa vicenda. Un lessico e una sintassi cupi, duri, distorti, spezzati, rotti

    Aggettivi che potremmo traslare alla realtà dei suicidi e dei violenti contro se stessi. Non solo a quelli immaginati e descritti da Dante, bensì a quelli dei nostri giorni. Non solo dopo morti, come in queste emerge in queste due tele di Manet e Frida Kahlo, ma spezzati da vivi.

    Manet, Il suicida
    Frida Kahlo, Il suicidio di Dorothy Hale

    Spezzati da vivi

    Dunque spezzati da vivi. Come se nel suicidio ci fosse la volontà di uniformare il corpo all’animo già spezzato in vita. 

    Violenza che si fa contro se stessi è spesso violenza già subita da altri. Al centro del canto Dante pone questa frattura tra uomo e uomo, tra uomo e comunità, questa solitudine che è spesso la causa dello spezzarsi di «quella resistenza interna dell’animo umano che non riconosce altra misura fuori di se stesso». 

    Con profondità il Sommo poeta consegna alla storia le anime dei suicidi, lasciando trasparire quella pietà che sarà poi da Fabrizio De andré trasformata in un inno, in una Preghiera in Gennaio.

    «Lascia che sia fiorito
    Signore, il suo sentiero
    Quando a te la sua anima
    E al mondo la sua pelle
    Dovrà riconsegnare
    Quando verrà al tuo cielo
    Là dove in pieno giorno
    Risplendono le stelle

    Quando attraverserà
    L’ultimo vecchio ponte
    Ai suicidi dirà
    Baciandoli alla fronte
    Venite in Paradiso
    Là dove vado anch’io
    Perché non c’è l’inferno
    Nel mondo del buon Dio»

    Scopri la Divina Commedia in arte

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    Dante d’arte: Inferni, Purgatori e Paradisi in scena alla Proloco di Petrignano

    Domenica 29 agosto presso il parco della Proloco di Petrignano d’Assisi è iniziato il cammino Dante d’arte che condurrà alla scoperta delle tre Cantiche dantesche. Nelle tre serate, a cura del team di esperti d’arte di Parte tutto da qui e promosse dalla Proloco, saranno raccontati alcuni personaggi, paesaggi, terzine dantesche attraverso gli occhi degli artisti, che a Dante e alla sua Commedia si ispirarono.

    Dante con i suoi versi sarà il Virgilio, la guida di questi incontri:

    «Or va, ch’un sol volere è d’ambedue: tu duca, tu segnore e tu maestro»

    Non unica guida, poichè ci si addentrerà nella Commedia attraverso le immagini. Opere, miniature, storie che dal Trecento in poi hanno incrociato, tentato di spiegare, approfondito, i versi delle tre Cantiche.

    Poesia e Arte saranno le scarpe che verranno calzate per compiere alcuni passi nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso danteschi e in concerto nei più diversi inferni, purgatori e paradisi umani. 

    Dante d'arte

    Gli Inferni di Dante, siamo giunti a ‘riveder le stelle’!

    Gli Inferni di Paolo e Francesca, di Farinata degli Uberti e di Pier delle Vigne hanno guidato il percorso attraverso gli inferi, accompagnati dalle illustrazioni senza tempo di Gustave Dorè, dalla plasticità della scultura di Rodin, dalle opere di Gaetano Previati e molti altri. Un cammino ascoso che grazie alla grande partecipazione di pubblico e alle guide Giulia Bertuccioli, Valentina Fabbri, Nicolò Cerasa, Michelangelo Matilli e Nadia Cesaretti ha condotto i presenti ‘a riveder le stelle’.

    Domenica 5 settembre la prossima tappa: i Purgatori

    Domenica 5 settembre ulteriori passi saranno compiuti. Stesso luogo ma diversa ambientazione: il Purgatorio dantesco. Nuovi personaggi, nuove immagini, colori finalmente e armonie differenti caratterizzeranno questa seconda parte del viaggio.

    Due nuove voci, infine, si aggiungeranno al team: la professoressa Beatrice Biancardi e il professor Loris Nobetti.

    L’incontro inizierà alle ore 21:00 e si terrà all’aperto (tempo permettendo).

    Dante d'arte

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