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Campo di grano con volo di corvi – le parole e le pennellate di Vincent Van Gogh
“Che ne sai tu di un campo di grano?” cantava Battisti, “niente” risponderei io. Infatti in questo appuntamento del martedì proverò a parlarvene con le voci di altri e le parole, profonde e penetranti di Vincent Van Gogh.
Su questa incantevole piccola tela tutta la critica artistica si è mossa inondandoci di interpretazioni quando verosimili e quando eccessivamente romanzate e fantasiose. Non sappiamo se questo fu l’ultimo dipinto dell’uomo Van Gogh, probabilmente anzi, non lo fu. L’artista non ci dice quante siano le strade rappresentate in questa sorta di visione grandangolare e non ci spiega nemmeno il perché del volo di quei corvi.
Sappiamo però che questa è una delle ultime tele, realizzata probabilmente nel luglio del 1890. Alla fine di quel mese l’artista si sparò rimanendo gravemente ferito. Morì il 29 luglio con al fianco suo fratello Theo. E sappiamo anche dell’importanza della natura e in specie dei campi di grano nella poetica di questo artista.
Le lettere a Theo
Come saprete proprio a suo fratello Theo sono indirizzate molte delle lettere che l’artista scrisse. In alcune di queste Van Gogh dipinge con la sua scrittura donandoci un’immagine verbale della sua anima che ci permette in parte di guardare le sue tele e i suoi paesaggi con gli occhi dell’artista. In parte, perché alla fine è sempre il nostro sguardo e la nostra anima a interpretare e vivere il momento che si manifesta nell’opera.
Queste lettere a Theo ci parlano indirettamente anche di questa opera, che come tutte le tele non è espressione univoca di un solo sentimento e di un solo pensiero: è una realtà polifonica.
Il campo di grano con gli occhi di Van Gogh
Scopriamo allora attraverso le parole dell’uomo tre brevi punti per poter provare a guardare quest’opera con i suoi occhi.
La relazione totale con la natura
Van Gogh e la sua relazione totale con la natura. Un qualcosa di sconosciuto ai nostri giorni. La natura c’è, ma per molti di noi è lo svago del fine settimana o della corsa pomeridiana. La natura pervade invece i dipinti di questo artista ed egli si sente parte di questo universo:
«Quando si cammina per ore ed ore per questa campagna, davvero si sente che non esiste altro che quella distesa infinita di terra – la verde muffa del grano o dell’erica e quel cielo infinito. Cavalli e uomini sembrano formiche. Non ci si accorge di nulla, per quanto grande possa essere, si sa solo che c’è la terra e il cielo. Tuttavia, in veste di piccola particella che guarda altre piccole particelle – per trascurare l’infinito – ogni particella risulta essere un Millet. »
La pittura en plein air e il sentire personale
Van Gogh era solito dipingere en plein air e non lo faceva solamente solamente su scorta del portato impressionista. La scientificità e la precisione del voler cogliere gli attimi di luce, i riflessi, i colori, in Van Gogh vengono interiorizzati e plasmati dalla mano in base al proprio sentire:
«Penso che la povera gente e i pittori abbiano un comune senso del tempo e del variare delle stagioni, d’inverno soffro il freddo quanto il grano».
Proprio il sentire personale, l’angoscia, la psicosi, emergono nei dipinti dell’ultimo periodo. Prima tenuti a bada dal pennello, ora generano caos e devastazione. La finezza e la sensibilità sembrano sul punto di disfarsi e più ancora la padronanza del sé. In questo senso Van Gogh, che prende quell’assolutezza dell’universale, racchiude nelle sue ultime opere tensioni e agitazioni che esprimono problemi vitali e che tutt’oggi parlano a noi. E’ un’arte impellente e poco studiata, che esprime lotta, continuo stupore e amore. L’arte qui non è la tecnica, ma l’esperienza di vita di un uomo in sfacelo.
«Ora sono di nuovo in periodo di lotta e scoraggiamento, di pazienza e di impazienza, di speranza e di desolazione.»
Il colore
Infine il colore: anche questo come la pennellata sfocia nella devastazione con tonalità sempre meno delicate e più stridenti e crude. Tocchi veloci e pastosi.
«Analogamente ritengo sia errato dare a un quadro di contadini una sorta di superficie liscia e convenzionale. Se un quadro di contadini sa di pancetta, fumo, vapori che si levano dalle patate bollenti – va bene, non è malsano; se una stalla sa di concime – va bene, è giusto che tale sia l’odore di stalla ; se un campo sa di grano maturo, patate, guano o concime – va bene, soprattutto per gente di città.»
La terra che sovrasta il cielo
Il blu misto a nero di questo cielo non più vorticoso e organico che annuncia tempesta. Il cielo che fu sempre per Van Gogh termine di visione, qui perde spazio lasciandosi sovrastare dalla terra con il suo grano squassato dal vento di color dell’oro e del bronzo. Se si entra nel quadro si percepisce una profondità, una prospettiva, non di linee, ma di colori. I corvi il pittore e nessun altro. Nemmeno i contadini che lavoravano i campi dei primi dipinti, solo la certezza della grandezza della vita, del valore delle persone, nonostante la malattia, nonostante tutto.
«Durante la crisi mi sento vile per l’angoscia e la sofferenza, più vile di quanto sarebbe sensato sentirsi, ed è forse questa viltà morale che, mentre prima non mi faceva provare nessun desiderio di guarire, ora mi fa mangiare per due, lavorare molto, e risparmiarmi nei miei contatti con gli altri malati per timore di ricadere. Insomma in questo momento io cerco di guarire come uno che, avendo voluto suicidarsi e avendo trovato l’acqua troppo fredda, cerca di riguadagnare la riva…e io so che la guarigione viene, se si è coraggiosi, dal di dentro della propria volontà e dell’amor proprio. Ma ciò non ha importanza per me, mi piace dipingere, mi piace vedere gente e cose, e mi piace tutto ciò che costituisce la nostra vita.»
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