A questa storia, quasi stessimo osservando un dittico, Dante collega la seconda:
Poi disse un altro: «Deh, se quel disio
si compia che ti tragge a l’alto monte,
con buona pietate aiuta il mio!
Anche questo secondo personaggio ancor prima di presentarsi chiede a Dante preghiere. La stessa richiesta sarà nella bocca del terzo personaggio.
Il futuro (la preoccupazione per la preghiera) e il passato (la narrazione della loro uccisione) sono ricordo e speranza e sono il fil rouge che unisce le tre storie.
Ma Dante è narratore e pittore arguto. Non ripete mai se stesso. E in ciascuno di questi quadri noi leggiamo tre diversi momenti della stessa morte.
Con Jacopo del Cassero abbiamo percepito lo strazio. Con Bonconte comprendiamo il perchè queste anime sono al purgatorio nonostante i loro peccati: il pentimento.
Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
[…]
Quivi perdei la vista e la parola;
nel nome di Maria fini’, e quivi
caddi, e rimase la mia carne sola.
Io dirò vero e tu ‘l ridì tra’ vivi:
l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno
gridava: “O tu del ciel, perché mi privi?
Tu te ne porti di costui l’etterno
per una lagrimetta che ‘l mi toglie;
ma io farò de l’altro altro governo!”.
Eccola, eccola la ragione vera, il secondo momento: il pentimento. La lagrimetta è il vero centro morale e fantastico del canto. Una lagrimetta che per il paradosso dell’amore cristiano vale la salvezza eterna.