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Raffaello, il periodo fiorentino
Raffaello arriva nel 1504 a Firenze, ed è rivoluzione!
Di certo l’esperienza del giovane urbinate, che già negli anni precedenti lo aveva portato a viaggiare per l’appennino muovendosi tra Umbria, Marche e Toscana, probabilmente già prima di quel fatidico anno gli permise di mettere il naso sugli affari artistici fiorentini. È con una lettera datata primo ottobre 1504 e firmata da Giovanna Feltria, sorella del Duca d’Urbino, che Raffaello si presentò al gonfaloniere della Repubblica fiorentina Pier Soderini. Costui aveva speso gran mole di denari pubblici per la realizzazione del David (da esporre nella piazza del potere politico cittadino) e per la decorazione della sala del Gran Consiglio. Due lavori di enorme valore simbolico per i quali si era affidato ad artisti quali Michelangelo e Leonardo.
Questa lettera tuttavia non procurò a Raffaello vere e proprie commissioni, ma aprì ai suoi occhi assetati di immagini, la visita delle botteghe dei due grandi maestri che animavano la scena artistica. Raffaello vide dunque i progetti leonardiane e i capolavori michelangioleschi, plasmando pian piano il suo disegno e aprendosi a nuovi modi di dipingere.
C’è un evoluzione, c’è un captare continuo di immagini e forme che rende le opere si questo periodo fiorentino, se lette conseguentemente, una sorta di climax, che permette di cogliere visivamente e materialmente la febbrile volontà di crescita di un giovane.
Le opere dei primi e il confronto con Leonardo
Vediamo le più celebri e prendiamo come punto di riferimento iniziale la Madonna Conestabile (1503-1504) ancora fortemente legata nei modi e ai modelli perugineschi.
Già notiamo dei cambiamenti nella Madonna Terranova, nella quale osserviamo una maggior naturalezza percependo i sentimenti delle figure ritratte. Guardate come è diverso lo sfumato, cogliete la profondità di quella mano in scorcio figlia delle mani del Masaccio e di Leonardo. Il confronto inoltre sia per cronologia che per la forma dell’opera ci porta a pensare al Tondo Doni michelangiolesco, opera sulla quale Raffaello approfondirà la riflessione, ma che in parte già riprende per la balaustra sullo sfondo e per la sapiente separazione dei piani. Non dimenticandoci che è proprio in questi anni che Raffaello realizzò i ritratti di Agnolo Doni e Maddalena Strozzi, committenti del tondo. Ritratti nei quali il modello leonardesco è manifesto e in cui il giovane sceglie di approfondire l’intensità psicologica.
È con la Madonna del Cardellino (1505-1506) e con la Madonna del Belvedere (1505-1506) che Raffaello si concentra sullo studio della composizione e della concatenazione delle figure, conferendo loro una inedita delicatezza di forme. Qui, ancor di più notiamo la resa della prospettiva aerea, e dell’indefinitezza dell’orizzonte.
La Madonna del Granduca e la Sacra famiglia Canigiani
È questo per Raffaello un eccellente momento di prova per sperimentare quante più variazioni sul medesimo tema della Madonna con il Bambino. Egli amplia e migliora composizioni, cogliendo a man bassa dalla ricchezza d’immagini di elevata qualità che Firenze sapeva offrire, ma avendo anche grande memoria. Già Roberto Longhi colse l’importanza che ebbe la lunetta del San Domenico di Urbino di Luca Della Robbia nell’elaborazione della Madonna del Granduca (1506 – 1507). Si noti la posizione delle mani, che sole insieme al volto della Vergine e del Bambino, smontano la ieraticità delle pose, avvicinando l’opera allo spettatore.
Madonna del Granduca Madonna Bridgewater
È con la Madonna Bridgewater che Raffaello si concentra sulla la plasticità corporea, avendo come modello il Michelangelo giovane scultore del Tondo Taddei. Sicuramente l’opera nella quale Raffaello dimostra di aver pienamente compreso la lezione del più anziano pittore è la Sacra Famiglia Canigiani. In quest’opera realizzata nel 1507 per Domenico Canegiani (cognato di Lorenzo Nasi) ritroviamo un sunto perfetto del livello eccezionale che Raffaello ha raggiunto.
Raffaello Sanzio, Sacra famiglia Canigiani, 1507. Non solo Leonardo e Michelangelo…
Non solo Leonardo e Michelangelo tuttavia, Firenze ha una storia, e ancora nel 1507-1508 Raffaello comprende la grandezza dei modelli passati. Nella Madonna Tempi 1507 – 1508 rivediamo il Donatello della Madonna Pazzi e del Miracolo del Neonato nell’Altare del Santo. Stessa posa, rivista con l’intimità e il sentimento: Raffaello non aveva mai abbandonato Donatello e la scultura quattrocentesca.
Raffaello Sanzio, Madonna Tempi, 1507-1508 Queste opere, frutto di una devozione privata, sono concepite da Raffaello come unicum. Sebbene il tema sia lo stesso egli non ripercorre la strada dei modelli e dei patroni, ma in un brainstorming di forme e linee dà vita continua a nuove figure.
I committenti delle ‘Madonne fiorentine’.
Se la lettera a Pier Soderini non portò probabilmente alle committenze attese, fu l’incontro e l’amicizia con Taddeo Taddei che invece generò frutti numerosi e di pregiata bellezza. A lui, di cui fu ospite, come ricorda il Vasari, donò due sue opere: la Madonna Terranova e la Madonna del Prato o del Belvedere.
È proprio forse in casa di suddetto Taddeo (Il Vasari scrive: “gli fu dato ricetto nella casa di Taddeo Taddei, e vi fu onorato molto, atteso che Taddeo era inclinato da natura a far carezze a tali ingegni”) che Raffaello fece la conoscenza e strinse amicizia con l’umanista veneziano Pietro Bembo. Quest’ultimo, coetaneo di Taddeo, fu parte attiva di quella cerchia di committenti filo-medicei i quali furono i veri fruitori delle ‘Madonne fiorentine’.
La cosa sconvolgente non è solo il fatto che Raffaello realizzi queste opere all’età di circa ventidue anni, ma che gli stessi suoi committenti Lorenzo Nasi, Domenico Canigiani fossero all’epoca ventenni o poco più.
La Madonna del baldacchino e la partenza per Roma
Raffaello dunque, presi i migliori aspetti della Firenze dell’epoca, dei grandi maestri della scultura quattrocentesca, di Leonardo e di Michelangelo, viene chiamato nel 1508 a Roma. E come Leonardo chiamato per il Nord lasciò incompiuta l’adorazione dei Magi, così Raffaello lasciò una delle poche commissioni pubbliche che in quella città aveva ricevuto: La Madonna del Baldacchino.
Raffaello Sanzio, Madonna del baldacchino, 1508. Il Condivi, amico e biografo di Michelangelo, in parte quella che ho definito all’inizio di questo excursus ‘rivoluzione’. Egli scrisse, non senza ironia, che Raffaello «in imitare era mirabile». Imitare, esatto, non copiare: in ciò è la grandezza dell’arte tutta.