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Beata solitudo, sola beatitudo
Era giugno inoltrato. Erano seduti attorno a un tavolinetto rotondo, tutti ancora nei loro abiti di scena. Alteri e orgogliosi, sembrava stessero recitando, anche lì, in quel frangente. Chissà se quella sera, prima di prendere posto nel locale, erano stati padri, fratelli, medici, assassini, amanti o amati.
Li osservavo impalata nel mio bell’abito verde e, per un attimo, mi feci cullare dal pensiero che anche io avrei potuto essere una di loro. Con una trama definita e mai più sola.
Sempre affascinata dal mondo degli attori, mi incuriosiva l’idea che vivessero per quell’attimo di riconoscenza in cui, a fine spettacolo, il loro volto si rispecchiava negli occhi luminosi di un pubblico grato.
Mi guardai intorno e mi resi conto che in fondo era tutto un grande teatro. Anche io avrei dovuto recitare per avere la possibilità di stare al mondo?
Perfino il locale sembrava una quinta teatrale. Sulle pareti erano dipinte ingenuamente una balaustra di pietra bianca, il mare blu, il cielo turchese e tante colorate lanterne di carta.
Con una trama definita e mai più sola, continuavo a ripetermi in testa.
Sarei stata spettatrice di un mondo nel quale non mi riconoscevo? O mi sarei finalmente confusa tra la gente, accettando il compromesso, ma godendo dei privilegi dell’appartenenza?
Con una trama definita e mai più sola.
Decisi così di abbandonare il locale e salire sulla corriera, tutta vecchia, con le panche in legno e semivuota, che mi avrebbe portata a casa. Fuori dai finestrini piccoli, la luce infinita della sera. Il mio sguardo, smarrito ed estasiato, venne catturato da un piccolo teatro poco illuminato. Impulsivamente chiesi all’autista di fermarsi.
Mi ritrovai davanti alla porta d’ingresso del teatro, nella penombra. Se fossi entrata sarei diventata un’attrice. Finalmente sarei stata parte di qualcosa, con una trama definita e mai più sola.
Bussai. Ad un tratto alzai lo sguardo e vidi il mio riflesso sulla porta a vetri dell’ingresso. Sentii una voce che urlava ̶ arrivo! ̶ . Mi guardai attraverso quel riflesso e di scatto mi voltai per andare via, mentre la porta alle mie spalle si apriva.
Era chiaro che, nonostante i mille tentativi di riconoscermi in qualcosa, in fondo, sarei sempre stata io. Ella. Con una trama indefinita e per sempre sola.
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La lezione di danza di Edgar Degas – PODCARD
La lezione di danza è tra i dipinti più celebri di Edgar Degas. L’artista amante del balletto, realizzò molti dipinti con il medesimo tema, rendendolo uno dei soggetti più fortunati delle sua produzione artistica.
Grazie ad un amico musicista ebbe l’opportunità di ritrarre le ballerine in una situazione del tutto privilegiata, dietro le quinte, in attesa di esibirsi sul palco dell’Opera di Parigi .
La lezione di danza fu realizzata proprio in una di queste occasioni.
La lezione di danza di Edgar Degas
All’interno di una grande sala prove, dall’atmosfera elegante, un gruppo di ballerine è riunito attorno al maestro, forse Jules Perrot, che con sguardo attento osserva una di loro impegnata nell’esecuzione di una variazione classica.
Il maestro è poggiato su di un bastone, forse utilizzato per battere il tempo dei passi.
Le altre ballerine sono disposte in semicerchio e sembrano non prestare attenzione, parlano tra di loro con fare quasi annoiato.
Come una foto
La composizione ha un taglio fotografico. Le linee oblique del parquet accentuano la profondità della sala e rendono la scena dinamica e realistica.
Nonostante la naturalezza che esprime il dipinto, tutti quei dettagli che ad una prima osservazione possono sembrare marginali irrealtà sono frutto di due mesi di studio .
Un impressionista insolito
Degas non rinunciò mai alla ricerca plastica e alla profondità prospettica ma allo stesso tempo come impressionista costruì il colore su giochi di luce per esaltare le figure e renderle più vere e vibranti.